
Livorno, cosa vedere tra arte e rivoluzione
Livorno ha la toscanità nel cuore ma è un mondo a parte, a cominciare dagli odori, sapori e suoni. Il mare entra dentro e il suo sentore arriva fin sulla collina con una luce struggente che conferisce accenti malinconici e poetici a una città per lo più allegra, un po’ chiassosa e per certi aspetti ferma nel tempo. Eppure da sempre porto di mare, da quando era Labro, già citata in una lettera da Cicerone nel I secolo avanti Cristo, è meticcia e internazionale. Aperta, quasi spalancata avrebbe detto Dario Fo. In ogni città per capire l’anima è importante andare al mercato, sedersi al caffè e leggere il giornale locale. Qui a Livorno è un rito ancora più importante, a parte Il Tirreno, giornale locale con una grande tradizione, molto letto, è spassoso quanto irriverente Il Vernacoliere, volgare e arguto giornale satirico.
Immaginiamo di arrivare in macchina, che non è il miglior ingresso però possiamo notare le Terme del Corallo, così conosciute, lo Stabilimento Termale delle Acque e della Salute liberty, chiuso da tempo candidato da troppo tempo ad un progetto di restauro. Questa vena decadente ci informa che la città visse nell’Ottocento e i primi Novecento un periodo di fasti grazie appunto alla qualità del clima e delle acque, una singolare stazione termale marina. Se si arriva invece con il treno ci si trova in un ambiente accogliente, una piccola stazione con una bella facciata liberty, ben tenuta da dove partono autobus comodi (linea Lam rossa e blu) che consentono di vedere la città comodamente, alternando una passeggiata a piedi e un passaggio più veloce. Vi troverete davanti una città con almeno due anime, quella severa dell’architettura razionalista e costruzioni degli Anni Cinquanta che non brillano per estetica e poi vicoli, vicoletti e quartieri rimasti fermi nel tempo. Non ci sono grandi monumenti: a Livorno bisogna perdersi nelle vie, cortili, osterie e poi nell’arte.
Se l’insediamento originario è molto antico l’assetto urbanistico di città arriva solo con Cosimo I dei Medici che dichiarò Livorno porto franco e pensò all’ampliamento del porticciolo esistente. Nel 1571 insieme all’amico Bartolomeo Ammannati, architetto, scultore, ingegnere militare, si recò sul posto e definì la realizzazione di un progetto affidandone l’esecuzione a Bernardo Buontalenti. Decise allora di farne il primo porto della Toscana costruendo le due fortezze, la Vecchia e la Nuova, più arretrata, che abbiamo già incontrato nella nostra passeggiata al Quartiere Venezia e ci lavora l’architetto Buontalenti.
Cosa vedere a Livorno
Il centro
La nostra visita può cominciare da via Carducci, lasciando alle spalle la stazione, sulla sinistra, un’occhiata al Cisternone – che è possibile anche visitare – o Gran Conserva, un serbatoio monumentale in stile neoclassico realizzato nella prima metà del XIX secolo ad opera dell’architetto Pasquale Poccianti, per l’approvvigionamento idrico cittadino. Ancor oggi funzionante, è situato ai margini della città ottocentesca, sulla direttrice di quello che fu il viale degli Acquedotti, dal 1927 intitolato a Giosuè Carducci, nei pressi della chiesa di Sant’Andrea e del Complesso “A. Gherardesca”. Peccato che non sia valorizzato perché la piazza antistante è adibita sostanzialmente a parcheggio eppure architettonicamente merita.
Da vedere piazza Grande al centro della città dove sorgono alcuni importanti edifici quali il Duomo e il Palazzo Grande, detto anche Nobile interrompimento, edificio a carattere polifunzionale, che prima giungeva fino al Palazzo del comune. Prima dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale era ben più estesa e sembra sia stata presa a modello per la Place des Vosges a Parigi. I nomi curiosi che non sono una rarità a Livorno raccontano la divisione tra il potere civile e religioso, decisamente marcata in una città di tradizione comunista.
Tra l’altro è bene ricordare che qui il 21 gennaio del 1921 vide appunto la luce il Partito Comunista staccandosi da quello Socialista nel Congresso che si tenne al Teatro Goldoni, oggi il più importante teatro della città, teatro di tradizione, costruito tra il 1843 e il 1847, vi si trova il Museo Mascagni con oggetti appartenuti al compositore livornese.
Curiosa anche Piazza della Repubblica, una delle piazze più grandi della città, con le statue di Ferdinando III e Leopoldo II, vestiti in abbigliamento da antichi romani, posizionate su alti basamenti, decorati con scene legate alla vita politica dei due sovrani. La particolarità è che la piazza in realtà è un ponte sotto il quale passa il Fosso Reale, che le ha conferito il nome di Voltone. Questo particolare ci fa capire che acqua e terra a Livorno si scambiano continuamente i ruoli.
Tra i quartieri quello dei Cappuccini ha ancora un’anima, ed è anche in fase di rilancio, pieno di negozietti e osterie con molte serrande dipinte. I vicoli che parlano del popolo, i panni stesi come nei quadri di Renato Natali, allievo prediletto di Giovanni Fattori al quale il maestro regalò il suo cavalletto. Sembra per certi aspetti che il tempo si sia fermato e che le persone qui abbiano più tempo per incontrarsi a bere un caffè o un bicchiere a seconda dell’ora.
Al Mercato centrale
Sosta imperdibile il Mercato centrale o la “Coperta”, noto come il mercato delle vettovaglie, brulicante di vita verace, di specialità e contaminazioni di cui è piena questa città. La parola vettovaglie indica le provviste militari perché Livorno non era solo il porto commerciale di Firenze ma il luogo che i soldati presidiavano per difendere la costa dai pirati. La struttura è molto bella, realizzata a metà del XIX secolo in vetro e ferro, ospita oggi circa 200 banchetti, con molta scelta di pesce.
Oggi vi sono anche bar o ristorantini con cibo da strada e specialità varie. Da provare il “5 e 5”, un panino senza latte né strutto, ma tipo francesino, farcito con torta di ceci. L’espressione ricorda le vecchie lire e i tempi andati, quando 5 lire erano per il pane e 5 per la farinata di ceci, la versione livornese del siciliano pane e panelle. Il porto e il mercato sono l’anima popolare di una città che si divide da sempre tra rivoluzione e arte, spirito ribelle in genere e creatività, spesso raffinata. Per uno spuntino dolce invece il Pane dolce con zibibbo, che i livornesi chiamano “Topa”, un impasto dolce di farina e un ripieno appunto di zibibbo, una tradizione contadina molto simile al Buccellato di Lucca che, tutt’oggi, viene venduto dal panettiere.
I luoghi dell’arte
Qui è nata la prima avanguardia europea con i Macchiaioli, Giovanni Fattori in testa prima che gli Impressionisti francesi facessero loro ombra, pittura che in modo dinamico, uscendo dalle accademie precorso l’en plein air e che per alcuni aspetti potrebbe essere una guida per vedere Livorno e i suoi dintorni. Custode della pittura labronica è Villa Mimbelli con il suo parco, sede tra l’altro anche di mostre e molti eventi culturali. Nel 1865 Francesco Mimbelli (1842-1930), commerciante di grano e altre merci, la cui famiglia veniva dalla Dalmazia, giunto a Livorno tra il 1857 e il 1859 e ben radicato nell’ambiente cittadino, affida all’architetto Vincenzo Micheli la costruzione della sua nuova residenza al posto della vecchia casa dei pittori livornesi Giuseppe, Antonio e Jacopo Terreni: una villa nel borgo di San Jacopo in Acquaviva, nella zona sud di Livorno, segno della sua raggiunta agiatezza economica. Nel 1868 la Villa su tre piani con altana e ben tre ingressi destinati a pubblico e occasioni diverse, è terminata e resta oggi una testimonianza Liberty. Splendide le decorazioni e gli arredi Nel 1877 viene finalmente inaugurata la “Pinacoteca livornese” nella grande sala al primo piano dell’ex Palazzo Granducale, poi Reale, ora sede della Provincia.
Dopo il trauma della guerra e il recupero delle opere dai loro rifugi, il Museo civico Giovanni Fattori viene inaugurato in una nuova sede, Villa Fabbricotti, una delle più belle dell’800, sede anche della Biblioteca Labronica. Nel 1994 poi il Museo civico Giovanni Fattori viene inaugurato nella sua 4a e attuale sede, sottoposta appositamente a un complesso intervento di restauro, che aveva recuperato anche quanto rimasto degli arredi e delle decorazioni delle ricche sale.
Altro grande artista livornese Amedeo Modigliani, al quale la città ha dedicato una mostra nel 2020, nel centenario della sua morte al Museo della città di Livorno, nel quartiere Venezia, struttura ex Bottini dell’olio dove ci sono sempre mostre interessanti. La Casa natale dell’artista, in via Roma 38, è visitabile in alcuni periodi solo su appuntamento ed è interessante perché non racconta solo le origini di Modigliani ma anche un ambiente e un momento storico a Livorno. È il mondo degli ebrei livornesi, colto e ricco ad in tempo, una congiuntura fortunata nella storia della borghesia che ha lasciato un segno profondo nella storia di Livorno. Siamo in quello che era un quartiere residenziale agiato.
Sempre in via Roma due Gallerie importanti 800ArtStudio della famiglia Bacci di Capaci e Guastalla Centro Arte, di un’importante famiglia ebraica livornese, due luoghi dove si respira anche l’atmosfera della città e un po’ di storia dell’arte, soprattutto locale, tra Otto e Novecento.
I cimiteri, testimonianza della diversità
Livorno crocevia di genti e culti diversi ha chiese di molte confessioni così come cimiteri. Forse uno dei più antichi del suo genere nell’area mediterranea, il monumentale cimitero inglese in via Verdi che risale al 1640 circa, molto prima che venissero costruiti i cimiteri inglesi di Roma e Firenze. Ristrutturato di recente, il monumentale cimitero ebraico, in viale Ippolito Nievo, è stato attivo dal 1840 fino ai primi del 1900. Al suo interno vi sono circa 16mila metri quadrati, viali alberati con cipressi ultracentenari oltre ad una varietà interessante di piante; insieme a tombe e monumenti del periodo, anche di importante valore artistico. All’inizio del XVI secolo, fu emanata la cosiddetta “Legge Livornina” che stabiliva che a tutti gli ebrei trasferiti nell’area portuale della città di Livorno fosse assicurata piena libertà, compresa quella di religione. Fu creato, così, una sorta di insediamento ebraico che, in un periodo di tempo molto breve, ospitò un numero crescente di persone. La città ospita inoltre cimiteri dedicati ai tedeschi, olandesi, armeni e turchi, solo per ricordarne alcuni.
Ultima tappa il Santuario della Madonna di Montenero
Santuario dedicato alla Madonna delle Grazie, oggetto di grande devozione, offre anche un panorama mozzafiato collina di Montenero che domina il mare e il porto. Ci si può arrivare dalla Stazione Ferroviaria Centrale di Livorno, servendosi dell’autobus di linea LAM ROSSA per Montenero fino a Piazza delle Carrozze e poi della funicolare. Certamente il modo più suggestivo salire nei vagoncini rossi inaugurati nel 1908 e ancora in funzione. Oppure in Per auto e pullman, dalla superstrada Livorno-Grosseto, uscendo a Montenero in direzione Ardenza, dopo il sottopassaggio della ferrovia, girare a sinistra e proseguire in direzione Antignano e poi seguendo le istruzioni.
L’origine del culto risale al 15 maggio 1345, festa di Pentecoste, quando, secondo la tradizione, un povero pastore storpio trovò l’immagine miracolosa della Vergine e la portò sul colle di Montenero, luogo già conosciuto come rifugio di briganti e per questo considerato oscuro, tenebroso, chiamato il “monte del diavolo”. Molte leggende aleggiano intorno al ritrovamento dell’immagine della Madonna, che la critica attribuisce invece a tale Iacopo di Michele detto Gera. Pare che quest’immagine comparsa a Montenero in seguito a una rinascita di fervore religioso, intorno al 1341. In quell’anno gli abitanti di quello che era poco più di un villaggio di pescatori, avrebbero organizzato un culto autonomo di immagini sacre, che però fu osteggiato dalle autorità ecclesiastiche.
Articolo e foto di Sophie Moreau
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