
La produzione del formaggio in Italia e i miei prodotti del cuore
In questi anni ho pensato molto a quale potrebbe essere il mio alimento preferito.
Durante i miei tanti viaggi scopro sempre cibi nuovi (non sempre apprezzo qualsiasi cosa), ma puntualmente, quando sono all’estero, mi fermo a pensare: cosa mi manca di più, gastronomicamente parlando?
Inizialmente pensavo al pane e alla pasta, ma con l’andare del tempo mi sono resa conto che l’unico vero prodotto espressione del territorio che mi circonda (ma in realtà di tutto il territorio italiano) è il formaggio. Un prodotto che rappresenta l’unione tra il lavoro degli allevatori e quello dei casari che, con le loro mani, sanno trasformare il latte in qualcosa di veramente unico al mondo, qualcosa in grado di risvegliare l’olfatto, il gusto e il tatto.
Quando assaggio un pezzetto di formaggio, se chiudo gli occhi mi vedo sempre correre nei prati come facevo da piccola per rotolarmi sull’erba annusando i profumi e ascoltando i piccoli insetti che si aggirano sui fiori.
Il formaggio è un prodotto vivo che si evolve nel tempo, con la stagione e con l’ambiente che lo circonda e non è mai uguale. Quando usato in cucina riesce a esprimere mille declinazioni che riflettono non solo le stagioni ma anche la storia del piatto e la sua evoluzione nel tempo.
Il mondo dei formaggi è così vario e incredibile che è difficile dire quale potrebbe essere il mio formaggio del cuore. Posso affermare con certezza che la mia preferenza va ai formaggi stagionati e semistagionati: dall’Asiago fresco al Bastardo del Grappa, dal formaggio Imbriago al formaggio di malga dell’Altipiano dei 7 Comuni, dal Morlacco al Nevegàl. Ma non posso trascurare i formaggi freschi, dalla Tosella al Schiz, per approdare ai formaggi ovini (pecora e capra) e quelli a pasta cotta, come dimenticarli?
Tutto questo mi ha convinta a partecipare al corso ONAF di 1° livello. Volevo imparare e conoscere la produzione del formaggio molto più tecnicamente approfondendo la mia formazione imparando così anche a distinguerli e a utilizzarli meglio in cucina.
Il latte e l’importanza dei pascoli per la produzione del formaggio
Non è possibile parlare di latte e quindi di formaggio se prima non si parla di pascoli.
Il dizionario Sabatini-Coletti definisce il pascolo “luogo in genere montano, in cui l’erba cresciuta spontaneamente viene fatta brucare dal bestiame”. Si tratta quindi di foraggio fresco, consumato direttamente nel campo senza nemmeno essere tagliato.
Fin dal Medioevo i terreni adibiti a pascolo erano catalogati, disciplinati e protetti, i pascoli comuni erano simbolo di stabilità economiche e di buon governo. In particolare, erano gli ovini a trarne giovamento, quando il formaggio era soprattutto pecorino.
Le pecore brucano l’erba mentre le capre preferiscono le parti aeree e verdi degli arbusti.
Oggi, in molte zone, le greggi di pecore e capre sono state sostituite dalle mandrie di mucche ma i pascoli continuano a resistere.
Si intuisce facilmente come non sia possibile ottenere un buon formaggio se alla base della alimentazione dell’animale non vi è un buon pascolo.
Ogni pascolo ha una peculiarità che viene poi trasmessa al formaggio. Un formaggio fatto in alta montagna non può avere lo stesso sapore dello stesso formaggio prodotto a una quota inferiore.
Il fattore ambientale è una delle caratteristiche che favorisce la produzione del formaggio e permette di ottenere prodotti tutti diversi e dai mille sapori e profumi. Ecco perché, oggi, sempre più consorzi affiancano al ciclo di lavorazione del formaggio un progetto di rispetto e protezione dei pascoli. Un esempio è quello del Caseificio del Primiero, impegnato in prima linea nel rafforzare la consapevolezza degli allevatori con Il “Progetto Prati”.
Riqualificare i prati vuol dire qualificare l’alimentazione degli animali. Ricreando un ecosistema che si basa su erbe, fiori, insetti che possano coesistere con il territorio.
Un altro esempio di rispetto del territorio è il Caseificio Il Fiorino, dove il latte utilizzato per la produzione del formaggio arriva solo da pecore “felici” che corrono e mangiano in tutta libertà alle pendici del monte Amiata. I profumi e i gusti che pervadono il prodotto che arriva sulle nostre tavole racchiude in sé i profumi della Maremma e le sapienti mani dei casari rispettano la materia prima sapendo che si trasformerà in qualcosa di eccellente. Come avrete capito, questo sarà un viaggio attraverso i formaggi italiani che si fondono con il territorio, le tradizioni e il lavoro di mani esperte che rendono questo prodotto uno dei più conosciuti e invidiati all’estero.
La produzione del formaggio in Veneto
La tradizione casearia del Veneto è ricca e variegata, così come ricco di sfumature è il territorio della regione.
Formaggi di malga che arrivano dall’alta montagna bellunese, come per esempio Busche, il Casel bellunese, fino ad arrivare al Contrin, prodotto solo nella zona di Livinallongo.
I formaggi dell’Altipiano di Asiago, ormai famosi in tutto il mondo, hanno una storia che parte dall’anno Mille. Inizialmente, per la produzione si usava latte di pecora, ma nel 1500, con l’aumentare degli allevamenti bovini sull’Altipiano, la materia prima divenne solo il latte vaccino.
La caciotta misto pecora prodotta nei territori della provincia di Padova, Rovigo e Venezia.
Il Casato del Garda, formaggio legato alla tradizione contadina della pedemontana veronese.
Come si capisce, il Veneto vanta una produzione casearia invidiabile, dove ogni formaggio è possiede la sua peculiarità che lo lega al territorio in cui è prodotto.
Le malghe e l’alpeggio
Le malghe sono un presidio importante del territorio. Oltre a mantenere vivo un patrimonio di saperi e sapori che appartiene alla nostra storia, esse contribuiscono alla tutela dell’ambiente e integrano l’economia montana in aree a rischio di marginalizzazione.
I formaggi d’alpeggio sono l’espressione più diretta di questo impegno.
Ecco perché sempre più spesso oggi si cerca di far conoscere il lavoro del malgaro attraverso eventi e manifestazioni come “malghe aperte”, che si svolgono in tutto il territorio italiano.
L’alpeggio
L’alpeggio indica l’attività agro-alimentare con le mandrie in altura ed è una pratica diffusa da secoli.
Nelle zone alpine e prealpine, il bestiame rappresentava la fonte primaria di reddito: più alto era il numero dei capi, maggiori erano le possibilità di permettere alla famiglia di vivere degnamente.
La fienagione è una delle operazioni più strettamente legate a questo aspetto. Nelle valli montane, questa operazione si svolge da giugno fino a settembre e dall’alba al tramonto, e non permette alle persone di dedicarsi ad altre attività. Ecco perché il bestiame veniva mandato in alpeggio: in questo modo, il malgaro poteva occuparsi di incrementare la produzione di foraggio per quando i capi sarebbero tornati alle stalle. Questo è il principio che regola la transumanza, ancora oggi praticata per portare i capi in alta montagna per la produzione del formaggio.
I formaggi moderni e la loro importanza per l’economia del territorio
È difficile affermare che la Comunità Europea, introducendo le quote latte, abbia avvantaggiato i nostri allevatori. Di conseguenza, tutto il settore lattiero-caseario ne ha risentito. Ma negli ultimi anni, la produzione del formaggio è diventata il comparto trainante dell’export del made in Italy. I formaggi DOP sono sempre più numerosi e attualmente ricoprono il 37% della produzione di formaggio. Da questo, si deduce come i territori che hanno nell’allevamento l’unica fonte di reddito, abbiano nella trasformazione del latte e nella produzione del formaggio l’unica possibilità di sopravvivere e non abbandonare il territorio. I caseifici e le malghe assumono quindi un’importanza sociale vitale per evitare lo spopolamento di alcune zone di montagna o di campagna.
Il Grana Padano DOP
Prodotto con latte vaccino crudo parzialmente scremato, saporito, dall’elevato valore nutritivo, il Grana Padano DOP si caratterizza per essere un formaggio facilmente digeribile e adatto ai consumatori di tutte le età.
In cucina è usato soprattutto come formaggio da grattugia, anche se può essere consumato come formaggio da tavola, accompagnato da vini bianchi o rossi, o nella creazione di piatti tipici della tradizione culinaria italiana.
Il sapore è intenso e fragrante grazie alla stagionatura, ma ancora più intenso e intrigante è il suo profumo e il suo rumore. Sì, avete capito bene, il suo rumore. Lo avete mai sentito?
Un momento importante è la verifica della stagionatura delle forme, tecnicamente chiamata carotaggio.
L’apertura di una forma è una operazione da veri maestri, bisogna solo stare in silenzio e osservare l’abilità e la perfezione.
E poi, finalmente, si può odorare e degustare, assaporando in profondità un prodotto che non ha eguali al mondo.
Articolo di Erica Zampieri
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