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Cosa vedere a Campobasso e Altilia-Sepino per riscoprire il Molise

Dopo decennali frequentazioni di amici e parenti, vacanze e visite regolari e ricordi della adolescenza, decido che è tempo di conoscere davvero la città di Campobasso, per poterne scrivere, certamente, ma anche e soprattutto perché glielo devo. Ho tantissimi ricordi, in questa occasione ho rivisto almeno quattro, cinque case nelle quali ho vissuto o dove ho incontrato amici e parenti, caffè storici come Lupacchioli, tanti ristoranti e negozi vecchi e nuovi.

Ho sempre pensato che tanto il Molise che Campobasso fossero luoghi dimenticati non da Dio quanto piuttosto da Stato e Amministrazioni locali visto che non si è mai provveduto a fornire la città, capoluogo di regione, né di una autostrada e nemmeno di un vero treno, che so, una Freccia che la colleghi con Napoli e con Roma, magari anche con Firenze. Una vecchissima Littorina – forse quattro, cinque carrozze – ha continuato a fare servizio con la Capitale fino a qualche anno fa. Poi ci sono rimasti i pullman che dalla Stazione Tiburtina di Roma arrivano a Campobasso in circa tre ore e mezza.

Peccato. Forse la città non vanta molti luoghi e monumenti da visitare ma possiede una lunga e importante storia e una bella anima, ed entrambe vengono fuori se si ha la pazienza di scoprirle. La gente è gentilissima e parla volentieri, si mangia molto bene, la città è autentica e pulita e non è guastata dal turismo mordi e fuggi. E poi c’è il Museo Sannitico. Ma questo è un discorso a parte.

Le cose per fortuna cambiano e lo slogan che ormai spesso si incontra a Campobasso e che vuole richiamare attenzione è “Il Molise non esiste”, un brand da 100mila iscritti che traina il marketing turistico di tutta la regione. Di Manuele Martelli e Dorothy Albanese, il marchio è diventato la vetrina sul Molise più seguita della regione.

giardini corso vittorio emanuele campobasso

Campobasso, cosa vedere

Castel Monforte

Un luogo che mi è sempre stato caro è Castel Monforte che, come quasi tutti i castelli, sta in alto. C’è una bellissima, ampia e bassa scalinata che parte dalla chiesa di San Leonardo, dove inizia via Anselmo Chiarizia, e che sale tra le case (poi Salita S. Bartolomeo) per poi restringersi in vicoli e stradine e si continua a salire finché le scale vengono sostituite da strade alberate e infine da un bellissimo viale delle Rimembranze, dove ogni albero è dedicato a un caduto dell’ultima guerra. Monumento nazionale e simbolo della città, il Castello, da tempo chiuso per lavori, si presenta come un massiccio quadrilatero con poche finestre quadrate. Ci sono tracce del ponte levatoio e delle torri difensive laterali che in origine erano molte. E molte erano anche le porte di accesso, alcune distrutte verso la metà dell’800 per facilitare il collegamento tra Castello e città sottostante. Ne sopravvivono solo alcune delle originali controllate da una torre di guardia a pianta cilindrica. L’alta torre rettangolare ospita la Stazione Metereologica di Campobasso che si trova a 808 metri ed è una delle più alte d’Italia. Avendo avuto la fortuna di visitarlo molte volte, posso aggiungere che l’interno del Castello è spoglio ma ha una terrazza dalla quale si ammira un panorama ampio e assai suggestivo: i resti delle mura osco-sannite, il borgo antico, la città e alcuni paesi intorno. E ancora, se la giornata è chiara e lo consente, si vedono le valli dei fiumi Biferno, Trigno e Fortore e i monti dell’Abruzzo e la Majella. 

castel conforte campobasso

Un po’ di storia

Si parla di Sanniti, Longobardi e Normanni; la testimonianza più antica è una pergamena del 1375 che conferma l’esistenza di un Castello nella città già da allora. Pare che già nel IV-II secolo a.C. esistesse una fortificazione da attribuire all’epoca sannitica con tracce di mura ciclopiche.

Nella seconda metà del Cinquecento (580 circa) i Longobardi invadono il Molise, all’epoca unito al Ducato di Benevento, e sembra che abbiano avuto un buon rapporto con il territorio grazie alla sua natura verde e rigogliosa, gli ampi spazi e un clima fresco. Una dominazione durata oltre due secoli, forse la più lunga della storia d’Italia. Nel Castello ha vissuto, in quegli anni, anche il Barone che governava la cittadella di Campobasso.

Nel 1456, anno del disastroso terremoto del Sannio che ridusse tutto, o quasi, in macerie – ce n’era stato un altro verso il 1350 – il feudatario Nicola II Monforte fa ricostruire integralmente il Castello con ponte levatoio, spostando la cittadella più a valle con una nuova cinta muraria difensiva, torri e porte di accesso, alcune ancora oggi visibili.La cinta di mura che cingeva Campobasso fu irrobustita dal Monforte con un secondo giro di mura e coprendo lo spazio tra le due cinte con delle volte, creando dei portici detti “rinforzi”, sormontati da camminamenti di ronda che consentivano di spostarsi da un capo all’altro della città.

Sconfitto Nicola Monforte dalle milizie del Regno di Napoli, il Castello passa al conte Riccardo di Gambatesa che sposta l’ingresso del castello di fronte alla chiesa di Santa Maria Maggiore e, pur risiedendo nel Castello con la corte, lo utilizza per scopi militari. Castel Monforte che reca tutt’oggi lo stemma dei Monforte (una croce circondata da quattro rose), nel XVIII secolo viene progressivamente abbandonato, utilizzato come carcere, assalito dai briganti, e nell’epoca murattiana e poi borbonica diventa sede della guardia civica incaricata di mantenere l’ordine.

Esistono comunque mappe, disegni e cartine geografiche dei luoghi del Settecento e Ottocento, che un appassionato può consultare presso la Biblioteca Angelica di Roma e l’Archivio di Stato di Campobasso, senza dimenticare che un altro disastroso terremoto ebbe luogo nel Matese nel 1805 modificando in parte i luoghi e danneggiando le stesse mura del Castello.

Qualche chiesa……

Di fronte al Castello c’è la chiesa di Santa Maria Maggiore, anche santuario della Madonna dei Monti, che nasce come appartenente al Castello con Cappella gentilizia e adibita anche a luogo di sepoltura delle famiglie feudatarie. All’interno la Statua della Madonna dei Monti che insieme al patrono S. Giorgio è considerata dai cittadini protettrice della città. Le prime notizie certe della sua esistenza sono del 1354, ma in un documento vaticano del 1241 si parla di una Cappella della Madonna dei Monti nella diocesi di Boiano alla quale Campobasso apparteneva. Ogni anno, il 31 maggio, c’è l’Infiorata e la statua della Madonna viene portata in processione lungo le strade ricoperte di fiori.

santa maria maggiore campobasso

Scendo dal Castello, ai piedi del Viale della Rimembranza c’è la chiesetta di San Giorgio, bella facciata romanica e portale con architrave. La data esatta della sua fondazione non si conosce ma i documenti parlano del 1100, confermando anche una presenza ecclesiastica esistente nel panorama religioso cittadino, mentre la chiesa è inclusa nella civitate Campobassi a dimostrazione di una esistente e marcata identità politica, economica e sociale della città in epoca normanna, sede privilegiata e cuore della città medioevale. Ho usato il termine chiesetta per il suo aspetto raccolto e le dimensioni contenute. Ma vale la pena di leggere la sua lunga storia riportata su grandi tabelloni prossimi al sito. Alla fondazione altomedioevale fa seguito un adeguamento ai canoni stilistici del romanico; il campanile è di un secolo dopo e tra il XIV e il XV secolo cambiano i suoi volumi e si accresce il suo prestigio al punto da essere insignita del titolo di Collegiata a metà Cinquecento. Vive un periodo di abbandono nella prima metà del Settecento, subisce pesanti danni dopo il secondo conflitto mondiale e viene ricostruita in varie parti. Sarà riaperta al culto nel 1959.

Tra le lastre tombali andate perdute c’è quella che la tradizione locale attribuisce a Delicata Civerra, eroina simbolo della città, vissuta alla fine del XVI secolo, morta giovane a seguito di un amore tragico e ostacolato. La sua storia è stata romanzata da Pasquale Albino nella seconda metà dell’Ottocento e intessuta con le vicende storico-religiose realmente accadute a Campobasso tra XVI e XVII secolo, protagoniste le locali confraternite dei Crociati e dei Trinitari che ebbero scontri così sanguinosi da meritare la scomunica papale.

chiesa san giorgio campobasso

Verso la modernità

Nel 1807, con un decreto di Gioacchino Murat, Campobasso diventa ufficialmente capoluogo della Provincia di Molise. La cittadina aveva appena cominciato ad espandersi fuori dalle antiche mura per costruire un borgo nuovo e moderno, dando il via ad una svolta dinamica per fare spazio alla nascente borghesia e appropriarsi di un territorio che era stato di esclusivo dominio di clero e feudatari.

Rete fognaria, strade, ospedale, scuole, carcere e caserme, cantieri ovunque: protagonista di questa importante fase storica è l’architetto Berardino Musenga al quale è intitolata la villa alle spalle del Comune. Fino a metà Ottocento, Campobasso era molto indaffarata a darsi un look moderno. 

Una curiosità: nel 1858 il Castello, assai diruto, venne valutato 64 ducati e dopo lunghe trattative è stato acquistato dal Comune di Campobasso nel 1861 per ben 460 ducati.

Dopo il 1860 nascono Prefettura, Municipio, Convitto Mario Pagano.                   

Autostrade e ferrovie, come ho detto all’inizio di questo articolo, non hanno mai ricevuto un adeguato sviluppo e attenzione. 

Torno alle scale per ridiscendere nel vecchio borgo fatto di vicoli e stradine, con diversi piccoli negozi di artigianato, piccoli bistrot, ristorantini e alcuni palazzi d’epoca tra i quali Palazzo Cannavina. Ma prima di lasciare la scalinata non posso mancare di rendere omaggio alla statua del cantante Fred Bongusto, originario di Campobasso, che con le sue canzoni ha allietato molte giovinezze.  Una cosa che noto in questo mio girovagare è che – cosa importante e assai apprezzabile – la città è ricca di tabelloni e informazioni sui luoghi e sulla storia, su strade e palazzi. 

Il Palazzo dei Capua e Gonzaga tra antichi fasti e perdute memorie

Partendo dalla chiesa di San Leonardo, alla base della scalinata inizia via Vittorio Cannavina – un tempo via Borgo, arteria centrale della vita cittadina – con l’omonima osteria e il palazzo Cannavina, dimora storica edificata agli inizi del Cinquecento con una storia che ha percorso i secoli, tra alterne vicende, fino a tutto il XX secolo. Trasformato in B&B resta un po’ buio perché la strada è stretta e ha pochi esterni, ma gli arredi e le stanze sono belli. Sotto il voltone della entrata diversi tabelloni illustrano storia, fortune e disgrazie dei vari proprietari, studiati i quali, si entra nel cortile del palazzo dove la scalinata sale verso i loggiati del primo e secondo piano.

Ma prima di arrivare ai Cannavina, ultimi proprietari, ci sono state altre famiglie quali i Capua e i Gonzaga che hanno abitato il Palazzo e gestito il potere. Dalla prima metà del XVI secolo il Palazzo feudale incarna l’unione fra le nobili casate dei Di Capua e dei Gonzaga ma è soprattutto centro del potere amministrativo. Scomparse le esigenze militari del Castello, il Palazzo, dimora alternativa allo stesso, esercita un “potere dal basso” e una guida della città da una posizione residenziale più comoda e topograficamente più naturale per gestire un abitato che aumenta nel numero dei cittadini e dei commerci.

Re Ferdinando II, nel 1464, aveva riconosciuto a Campobasso lo status di città regia.

Lo stemma riprodotto sul portale testimonia il matrimonio tra Isabella Di Capua e Ferrante I Gonzaga, matrimonio fastoso con il quale Isabella porta in dote al marito principati pugliesi, vari feudi e la contea di Campobasso dove i coniugi non vissero mai, salvo brevi soggiorni.

Nel 1557 entrambi muoiono a breve distanza l’uno dall’altra e altre Casate si avvicendano all’interno del Palazzo. Nel 1560 la contea di Campobasso fu venduta da Cesare Gonzaga per pagare i debiti accumulati dal padre. Tommaso de Marini l’acquistò e divenne signore di Campobasso per alcuni anni. A lui subentrò Ottavio Vitagliano Branca giureconsulto napoletano. Il feudo venne ancora una volta venduto nel 1643 alla famiglia Carafa della Stadera che accrebbe l’importanza e le dimensioni del mercato granario della città ma sfruttando sia i terreni che il lavoro dei contadini.

Anche il Carafa non ebbe vita lunga perché ci pensò Masaniello nel 1647 durante i moti rivoluzionari napoletani quando il regime feudale venne dichiarato decaduto.

Il vero punto di svolta per la città di Campobasso è il 1742 quando, con il Riscatto al Demanio, 144 cittadini acquistarono la città diventando così artefici del proprio destino. Verso la fine del Settecento, 1783, il palazzo diventa proprietà della nuova borghesia cittadina con i Salottolo, che lo restaurano pienamente, per essere poi venduto ai Cannavina a fine XIX secolo, proprietari fino al 2015. 

Ritorno alla attualità

Dopo aver letto attentamente un buon numero di cartelli e tabelloni sulla storia locale delle varie famiglie, continuo la mia passeggiata esplorando le stradine circostanti con alcuni negozietti che giustamente, puntano al recupero di arti e oggetti vari come sottolinea la proprietaria di “molis’Art” – graziosi oggetti ricamati a mano – che ha un nome dal sapore antico e certo insolito: Giocondina! Accanto le vetrine di “Cose di Carta” e “Arte e Stampa”.

antica stamperia aurora campobasso

Termina Via Cannavina che, in realtà, è la strada che collega il centro del vecchio borgo con la città moderna, uscendo su Piazza Gabriele Pepe – che più che una piazza è una strada larga che termina sotto la statua di Gabriele Pepe (militare, patriota, letterato e poeta) – con un bel affaccio sul Teatro Savoia in stile Liberty e, a seguire, la Cattedrale della Santissima Trinità e il Palazzo del Governo.

Il Teatro Savoia

Prima del Teatro Savoia c’era il Teatro Margherita nato nel 1894 – su un altro teatro distrutto da un incendio -, realizzato in legno e rivestito di mattoni e stucchi, poteva contenere 600/700 persone e i costi per completarlo ammontavano a ben 30.000 Lire.

Il Teatro Savoia, nato negli anni 1923/25, era parte di un complesso sorto sull’area dell’ex Teatro Margherita e di alcune case addossate alla Cattedrale, in condivisione con l’Hotel San Giorgio, la Banca Popolare, i bagni diurni e vari negozi. Insomma, la storia ha avuto diverse epoche durante le quali è cambiata la struttura, la dimensione e la denominazione. All’inizio fu chiamato Teatro Sociale dalla Società Anonima Impresa Teatro che lo aveva costruito e venne inaugurato nel 1926 con la rappresentazione della Tosca di Puccini. Con il cambio di proprietà che passò a Raffaele Colitti, il teatro assunse l’odierna denominazione di Teatro Savoia.

Una sosta è necessaria e su Piazza Pepe c’è lo storico caffè Lupacchioli dal 1840 ideale punto di osservazione dei luoghi e della gente. Lì accanto c’è anche una attraente Cioccolateria.

Siamo nel centro moderno della città, sotto la statua di Pepe, di fronte al Convitto Mario Pagano – istituzione storica che da oltre 200 anni rappresenta un importante riferimento culturale in tutto il Molise. Palazzi eleganti ben tenuti, traffico quanto basta, uffici e negozi; svoltando a destra inizia il lungo Corso Vittorio Emanuele dove è d’obbligo un tantino di “struscio” la sera e nel fine settimana. Negozi, bar, caffè e pasticcerie alcuni dei quali si allargano sui marciapiedi e dentro i giardini tra il Palazzo del Comune e il Palazzo di Giustizia. Palazzo San Giorgio costruito nel 1874/76 dall’architetto Gherardo Rege, ospita il Municipio di Campobasso e sorge sull’area anticamente occupata dal Convento dei Celestini.

palazzo del comune di campobasso

La città Murattiana e la Casa della Scuola

Molti di questi palazzi durante il decennio francese, inizi Ottocento, fanno parte di un disegno urbanistico il cui fautore fu Gioacchino Murat, guidato da idee illuministiche più moderne, che avviò opere pubbliche e riforme anche nel campo tributario e giuridico.

Questo nuovo governo, con l’alienazione dei beni dei monasteri e dei feudatari, riuscì a dare un taglio netto al passato e a produrre la nascita della proprietà borghese.

In particolare, uno degli edifici più belli del Centro Murattiano e parte del patrimonio della città è La Casa della Scuola “Enrico d’Ovidio” in Via Roma, notevole l’architettura con un imponente ingresso centrale sormontato da grandi finestre che ornano l’intera facciata. Nato come edificio scolastico, durante la Prima Guerra Mondiale fu utilizzato come ospedale militare e rifugio per i soldati. Dal 1919 al 2017 ha ospitato migliaia di giovani studenti. Successivamente, una parte dell’edificio è stato trasformato in Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea mentre al piano terra è stata creata una Bibliomediateca aperta a tutti.

Tra il Borgo vecchio e la città moderna si apre “Piazzetta Palombo”,  uno spazio dedicato al mercato artigianale Molisano. Inaugurato nel 1896, originariamente era chiamato “Piazza dei Commestibili” in quanto dedicato alle merci portate dai contadini dalle campagne circostanti. Il perimetro interno è caratterizzato da portici dove sono collocate una serie di botteghe artigianali e negozietti di hobbisti che non hanno vita facile sotto il profilo del lavoro. Il luogo è suggestivo e potrebbe anche crescere per attività e contenuti con una capace promozione e supporto, ma non è molto frequentato.

Villa De Capoa

Prima di passare ai Musei e alla archeologia, due parole su Villa De Capoa, Villa Comunale e Giardino Botanico in Piazza Vittoria, altro luogo simbolo di Campobasso e dove ho lasciato ricordi della mia adolescenza. La villa originale – 16.000 metri quadri – è del Settecento, costruita da Andrea De Capoa e faceva parte dell’ex monastero di Santa Maria delle Grazie. Inizialmente i monaci vi coltivavano le erbe medicinali, in seguito venne acquistata da privati e utilizzata come luogo di passeggio. Nel 1806, anno successivo a un devastante terremoto, sotto il governo di Gioacchino Murat la città venne ricostruita e anche la Villa venne riprogettata con una grotta di tufo, una vasca con fontana, uno spiazzo con balconata in pietra e due tombe in stile quattrocentesco: in una è stato sepolto il cane Alcon e nell’altra un soldato morto nel 1492. L’ultima proprietaria Marianna De Capoa nel 1875 la donò al Comune di Campobasso.

villa de capoa campobasso

Museo dei Misteri

Andiamo a visitare un vasto territorio di altra arte e cultura, cominciando con il Museo dei Misteri e delle Tradizioni, in pieno centro città, che espone strutture e costumi utilizzati negli eventi folkloristici e soprattutto durante il Corpus Domini, manifestazione famosa e molto seguita nella città di Campobasso. La parte importante che rende questa manifestazione unica è la sfilata del mattino dei cosiddetti “misteri” che sono enormi strutture portanti – tra i 300 e i 600 chili di peso – create dallo scultore Paolo Di Zinno, destinate a sostenere il peso dei figuranti nel corso della sfilata. Le strutture sono 13 e ognuna rappresenta e celebra un “mistero” della Bibbia o un santo.

Nelle sale espositive del Museo ci sono i costumi d’epoca, testimonianze fotografiche e le 13 strutture protagoniste dell’evento. Nella sala proiezioni è possibile vedere i video girati dal 1929 in poi (o quasi) che mostrano non solo la sfilata ma, interessante, anche il backstage del Festival.

Museo Pistilli – Scuola napoletana e molisana

Torno sulle belle scale che portano al Castello e incontro prima il palazzo sede della Sovrintendenza alle Belle Arti del Molise, poi il Museo Sannitico e infine Palazzo Pistilli che ospita il primo museo storico-artistico di Campobasso.

Alla entrata mi accoglie un custode che scopro essere un archeologo – Marco Giannantonio – che mi racconta del Museo Pistilli, innanzi tutto, e poi degli scavi di Isernia, altra città del Molise, ai quali ha partecipato. 

Con questo Museo si è voluto raccogliere e valorizzare opere che hanno contribuito alla costruzione della identità artistica del territorio molisano e si è voluto far conoscere e riconoscere beni divenuti “invisibili” nel tempo e poco fruibili rendendoli “visibili”.

Grazie alla lungimiranza e generosità di una famiglia di grande tradizione di collezionismo borghese – Giovanni Ottavio Eliseo e Michele Praitano, rispettivamente zio e nipote – è stato possibile mettere insieme nuclei importanti della storia dell’arte napoletana e molisana. Le collezioni, nate da viaggi all’estero e in Italia, coprono un arco di tempo di oltre quattrocento anni. Con passione e pazienza Praitano ha impiegato cinquant’anni nel mettere insieme la collezione, incontrando artisti, antiquari e galleristi, dove la sua passione dell’arte era anche passione civile per far in modo che arte e cultura fossero accessibili ai cittadini. Infatti, entrambe le collezioni di zio e nipote sono poi state poi donate al comune e messe a disposizione di chiunque fosse interessato all’arte, alla pittura, alla scultura. 

Al piano terra, le opere più antiche della collezione, Scuola Napoletana del Seicento di formato piccolo e medio per una maggiore adattabilità agli interni delle residenze, ma, non ultimo, anche per una questione di costi più contenuti. Qui è esposta anche una bella copia della Venere Medici scultura del I secolo a.C. conservata a Firenze, Galleria degli Uffici.

Al piano superiore opere della prima metà dell’Ottocento e oltre, appartenenti alla Scuola di Barbizon, alla Scuola di Posillipo e di Resina, qui rappresentate da De Nittis, Gigante, Palazzi, Caprile e Mancini. Tra le opere della seconda metà dell’Ottocento ci sono tele di Boldini, Ragione, Corcos e una scultura di Gemito. Assai bella l’opera “La suonatrice di chitarra” di Gaetano Esposito e simbolo del Museo.

Gli artisti molisani, tra metà Ottocento e metà Novecento De Lisio, Scarano, Trevisonno sono tutti accomunati da un “ritorno alla forma”, lontani da tendenze astratte ed informali di quegli anni.

Museo Sannitico

Anche questo bel palazzo, un tempo appartenente alla nobile famiglia napoletana dei Mazzarotta, si apre sulle scale che salgono e scendono dalla Rocca.                                                   

E’ una bellissima struttura, ampia e assai curata e ben organizzata, ricchissima di contenuti e altrettanto ricca di tavole e spiegazioni, con le esposizioni che si dividono su tre piani. Qui incontro il direttore, archeologo anche lui, Davide Delfino, genovese, che mi informa di vivere assai bene a Campobasso da anni, ben integrato e soddisfatto.

Mi fa piacere saperlo, significa che vivere nella cultura fa sempre bene e che a Campobasso la cultura c’è e sotto diverse forme.

La visita del Museo sannitico, la più antica istituzione museale molisana, richiede tempo e se lo merita tutto. Dopo varie vicissitudini, è stato riaperto nel 1995, ospita una pregevole collezione archeologica e riceve una importante eredità di oggetti dal suo nucleo originario costituitosi nell’Ottocento con criteri antiquari. E’ presente un ricco patrimonio che interessa larga parte della provincia di Campobasso con corredi funerari della tarda antichità.

Al Piano Terreno, le società guerriere

Il percorso inizia con ricche selezioni di corredi funerari che ci raccontano delle società guerriere in Molise prima dei Sanniti (età del bronzo) che ne hanno subito gli influssi culturali. Dalle sepolture maschili del VII-V secolo a.C. si conferma l’esistenza di un’aristocrazia guerriera che concentra il potere economico.

Interessanti gli elmi di bronzo che arrivano dal Piceno e dalla Magna Grecia e denotano una evoluzione e una robustezza diversi nell’oggetto e una grande mobilità di merci e culture.