
Campo di concentramento Ferramonti e Parco letterario® Ernst Bernhard a Tarsia
“Studio la psicologia di questa situazione eccezionale con grande interessamento” così scrive lo psicanalista Ernst Bernhard in una lettera alla moglie Dora. Era l’estate 1940 e la situazione di cui scrive è quella che vive come internato nel campo di concentramento Ferramonti di Tarsia che oggi ospita un Museo della Memoria e un Parco Letterario® a lui dedicato.
Ed è proprio in un’estate che sono andata a visitarlo, al rientro da una vacanza nella spettacolare Tropea. È molto comodo arrivarci perché si trova vicino all’uscita Tarsia dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. La costruzione dell’autostrada, purtroppo, ha portato alla distruzione delle 92 baracche che un tempo qui formavano il primo esempio di vero campo di concentramento istituito dal governo fascista, il primo a essere liberato e l’ultimo a essere formalmente chiuso. Ero molto curiosa di conoscere questa realtà meno celebre di altre simili in Italia, ma poi ho capito che è stato veramente unico nel suo genere.
Il campo oggi: da paradiso inaspettato a Museo della Memoria
Il Museo Internazionale della Memoria, inaugurato nel 2004, sorge su un terreno agricolo vicino a quello in cui vi era il campo ed è costituto da alcuni edifici che ospitano le seguenti sezioni:
- sala del plastico;
- due sale per la Mostra documentaria permanente e due sale per esposizioni temporanee;
- la sala espositiva dedicata a Michel Fingesten;
- la Biblioteca Gustav Brenner, con documenti in forma cartacea e multimediale;
- l’Archivio, con documenti in forma cartacea e multimediale;
- la sala multimediale;
- la sala conferenze;
- due stanze adibite a uffici/segreteria;
- spazi comuni adibiti ad emeroteca, gadget, oggettistica, servizi editoriali, caffetteria.
Durante la visita si è così accompagnati dalla presenza di alcuni modellini in scala delle baracche ma anche da vere e proprie ricostruzioni degli interni. Quello che mi ha più colpito però è la mostra permanente di foto di persone e di documenti, oggetti, opere d’arte che sono il frutto di donazioni spontanee di ex-internati che, una volta coinvolti, sono stati entusiasti di poter contribuire a tenere viva la memoria di quel periodo della loro vita. Alcuni di loro addirittura si recano ancora oggi nelle scuole del comune e della provincia per portare la propria testimonianza.
Le sale sono in continuo “movimento” perché arrivano sempre nuove testimonianze. Diverse sono le attività, non solo di conservazione della memoria storica, ma anche di ricerca e divulgazione, come stimolo per le generazioni future coltivando i valori della tolleranza e dell’accoglienza.
Occhi, volti di bimbi, donne, uomini, sono alcune delle 3000 persone che transitarono nel campo durante i 3 anni della sua apertura: ebrei residenti in Italia del nord e centro, individui provenienti da Serbia, Croazia, Montenegro, ebrei bloccati nei loro tentativi di fuga verso la Palestina, ma anche un gruppo di jugoslavi, greci, francesi e cinesi non ebrei. Dopo l’apertura a opera degli Alleati, il campo mantenne una direzione ebraica e venne supervisionato dagli inglesi: già, molti rimasero qui in quello che il Jerusalem Post definì “un paradiso inaspettato” e lo storico ebraico Steinberg “the largest kibbutz on the European continent”.
Persone e personaggi: le testimonianze
La nota bella di questa realtà infatti è che non c’erano camere a gas come a San Sabba, ma un’organizzazione democratica, una scuola, una sinagoga, un ambulatorio medico in armonia anche con la popolazione locale che condivideva con gli internati quel poco di cibo che aveva. Quella all’ex campo di concentramento Ferramonti è una visita che offre molti spunti di riflessione sulle libertà negate, ma anche sulla generosità e lo spirito di condivisione, nonostante le situazioni precarie.
Sapete chi c’era tra loro? Un certo Alfred Wiesner, che potremmo definire Mr. Algida, visto che subito dopo la guerra fondò la famosa ditta di gelati, ne inventò il marchio e il suo primo prodotto è uno dei miei gelati preferiti nella sua semplicità. Si tratta di un bastoncino che sorregge del gelato alla panna ricoperto di cacao, il cremino!
Il giorno della mia visita ho avuto, inoltre, una fortuna particolare perché era arrivata dall’America Orly Ardon, Science Manager for Digital Pathology Diagnostics at Memorial Sloan Kettering Cancer Center’s Pathology Department. Ma non è la sua professione dal titolo così altisonante che mi interessa, quanto la ricerca delle sue radici che ha intrapreso con marito e figlia in Italia, seguendo la storia del nonno materno. Otto Doron Deustch era infatti uno dei rabbini di questa comunità cosentina di cui animerà la vita religiosa fino alla sua morte prematura, dovuta a precarie condizioni di salute.
Molti erano gli artisti che diedero vita ad una certa vita culturale nel campo di concentramento Ferramonti: cantanti, calciatori professionisti e pittori, come Michel Fingesten amico di Oskar Kokoschka, considerato uno dei più grandi artisti di ex libris della storia, le cui opere si trovano in molti musei del mondo, anche qui. Nelle foto mi vedete intenta a guardare proprio una sua opera originale, regalo di un altro internato a Ferramonti. Se vi state domandando cosa sia un ex-libris pensate al contrassegno che si usa sui libri per il Bookcrossing: un’etichetta che identifica il proprietario del libro. Immaginate che questi talloncini erano usati già nel Medioevo, ma nel Novecento diventano anche delle creazioni preziose commissionate da D’Annunzio o Dickens ad artisti del calibro di Dürer, Klimt o Boccioni!
Ernst Bernhard, psicoanalista di VIP e internati
Per 10 mesi circa, dall’estate del 1940 alla primavera del 1941, è proprio in questa vivace, sebbene limitata, realtà che approda Ernst Bernhard, medico pediatra e psicoanalista nato a Berlino da genitori ebrei. Questa è l’unica pausa di una lunga carriera di successo, che l’ha visto lavorare a Zurigo con Jung e diventare poi il riferimento di importanti personaggi come Natalia Ginzburg, Federico Fellini e Adriano Olivetti. Dopo l’internamento, poté tornare a vivere a Roma, dove visse nascosto nel periodo dell’occupazione nazista e poi libero, fino alla morte nel 1965.
La Ginzburg lo ricorda quando si sedeva davanti a lei e l’ascoltava fumando un bocchino d’avorio e Fellini che lo consultava a mo’ di oracolo, anche in veste di consulente per alcuni suoi film come Otto ½ e Giulietta degli spiriti.
Ma nel campo, Bernhard si deve mettere alla prova con una densa e variegata umanità. Molto bella è la foto riportata nella stampa dentro al museo che lo ritrae intento a scrivere su un piccolo tavolo di lavoro che si era dovuto costruire, così come il letto.
Uno dei Parchi Letterari®
Anche se relativamente breve, dunque, la persecuzione razziale e la permanenza a Ferramonti l’avevano segnato. Nel suo scritto Mitobiografia, Bernhard ci lascia un pensiero in linea con la sua passione per la psicanalisi: “Penso che mi peserà molto il non avere nessuno di cui prendermi cura e da far progredire. Ma a mio conforto mi viene in mente che là ci sarà pure un corpo di guardia nazista. Potrei prendermi cura di questo”.
Ecco perché il 27 gennaio 2018 è stato inaugurato nell’ex campo di concentramento Ferramonti un Parco letterario® a lui dedicato. All’evento sono intervenuti la prof.ssa Teresa Ciliberti, che si occupa della valorizzazione della presenza dello scrittore a Ferramonti, e il presidente dei Parchi Letterari Stanislao De Marsanich.
Della permanenza di Bernhard qui sappiamo molto grazie a quello che è diventato un libro, Lettere a Dora. Si tratta di un fitto carteggio con la moglie Dora Friedländer, in cui l’autore cerca di descrivere la sua vita al campo, dove legge, studia dei canti di primavera italiani, non disdegnando un ovvio posto come psicologo. Ma non dimentica di chiederle come procede la vita a casa e qualche bene come carta da lettere, inchiostro o pacchetti di cioccolata.
Il suo indubbio valore ha fatto sì che questo Parco letterario Ernst Bernhard sia stato ammesso alla preselezione del MIBACT come candidato al Marchio del Patrimonio Europeo (European Heritage Label). Si tratta del riconoscimento per un sito che abbia contribuito a “promuovere il senso di appartenenza all’Unione europea tramite la ricchezza della diversità e l’importanza del dialogo interculturale”.
Turismo culturale ed enogastronomico: cucina e prodotti tipici
Il museo si trova nel comune di Tarsia, un piccolo centro agricolo, con un omonimo lago che con la vicina foce del fiume Crati costituiscono una possibilità di visite guidate delle rispettive oasi naturalistiche.
Si trova al centro tra i due mari Jonio e Tirreno, verso la Piana di Sibari, nota anche per i suoi scavi archeologici. Intorno, si aprono le Serre di Spezzano e una parte dell’altopiano della Sila; non lontano si trova anche un altro paradiso per gli amanti della natura, il Parco Nazionale del Pollino.
Come ovunque in Italia, anche qui la tradizione gastronomica è molto ricca.
Vi consiglio una visita all’agriturismo Armentano, che si trova proprio a Tarsia, dove avrete la possibilità di dormire in un antico casale dotato di tutti i confort, tra cui anche una piscina esterna.
Qui potrete assaggiare una pasta all’uovo fatta a mano che assomiglia ai fusilli, i maccarruni al ferretto, chiamati così perché allungati con un filo di ferro o con un salice essiccato. Tra i secondi piatti, un posto d’onore è occupato dal maiale: la sua macellazione e lavorazione risale al periodo della Magna Grecia ed è molto diffusa in tutta la Calabria con alcuni prodotti che sono ora anche Dop, come la soppressata. Gustosissimi i fichi, magari anche secchi e infilati a corona in rami di mirto, e immancabile olio prodotto da alcune cultivar di olive come Carolea, Nocellara, Coratina e Roggianella.
Qui trovate altri suggerimenti di cucina letteraria.
E in attesa di una visita ai luoghi di cui si parla nell’articolo, su YouTube trovate la puntata di Borghi d’Italia dedicata proprio a Tarsia con il regista Mario Placidini e la troupe di Italia on the Road.
Ed è così che, a dispetto dell’orrore della guerra e del razzismo, è potuto sbocciare un fiore di umanità, di altruismo. Ed è così che la gente di Calabria ha potuto evidenziare la propria generosa indole. “L’identità umana viene prima di ogni diversità. Tutte le diversità razziali, religiose, politiche e culturali non sono che manifestazioni della ricchezza di quell’unica identità.”
(Dall’epigrafe di una tomba ebraica nel cimitero di Ferramonti.)
Articolo di Claudia Baldin