
Arezzo da gustare – un percorso gastronomico
Con Arezzo l’abbinamento con la tavola appare meno automatico rispetto ad altre città della Toscana eppure presenta una grande varietà, una lunga tradizione quella dei sapori d’Arezzo, quasi esclusivamente legata alla terra, dato che nel territorio non vi sono neppure laghi e quindi il pesce nella tradizione è solo salato, aringhe, acciughe e baccalà che la religione ha sapientemente inserito come precetto di vigilia, che significa attesa e non astinenza, per curare il corpo, non per punirlo. Se la Valdichiana evoca la sua carne di chianina, la bistecca è prima di tutto legata a Firenze, la Fiorentina appunto. Salsicce e torta al testo fanno pensare altri rivali, quei Perugini che gli Aretini definivano “mangialasche”, da lasca, piccolo pesce tipico del Lago Trasimeno o “mangiafagioli” con un certo disprezzo. Nonostante tutto anche la città dell’oro è interessante nel piatto.
Cosa mangiare ad Arezzo
Sapori d’Arezzo in compagnia di Massimo Rossi
Il nostro viaggio a tavola è in compagnia di Massimo Rossi, chef di lungo corso e studioso di storia della cucina, soprattutto appassionato, titolare del ristorante Belvedere a Monte San Savino.
Quali i piatti simbolo di Arezzo? “La zuppa del Vescovo Tarlati, i Grifi e il Gattò”, queste le sue prime suggestioni. Ora questa zuppa è un piatto storico al quale è dedicato anche un Premio. La famiglia Tarlati, infatti, nel XIV secolo era proprietaria di un castello a Pietramala, vicino ad Anghiari e sembra che l’origine sia legata a questo potente ghibellino che divenne anche signore di Arezzo, ambizioso che soggiornò spesso ad Avignone dove assaggiò una zuppa cremosa che volle in qualche modo riproporre, originariamente con il fagiano, oggi con il pollo.
Il nostro percorso spazia da Arezzo città ai dintorni senza dimenticare quello che Massimo Rossi ci ha detto, che “la cucina tradizionale in Toscana nasce in campagna dove fino alla mezzadria il cibo era molto povero e quindi si fonda sul riciclo e su quello che si trova sul territorio con l’abitudine a mescolare.”
Il pasto può iniziare con i Crostini neri di cui ne esistono numerose varianti; tra le più diffuse c’è quella che prevede, come ingredienti, carne macinata di vitello, fegatini di pollo, carota, sedano, prezzemolo, capperi, acciughe, olio extravergine d’oliva e vinsanto.
Il piatto che forse viene in mente pensando ai sapori d’Arezzo più facilmente è l’Acquacotta è una preparazione diffusa anche in Maremma per la quale occorre preparare un soffritto di cipolle dove si farà cuocere il pomodoro; quindi si aggiunge il brodo vegetale e, dopo una cottura di 30-40 minuti, le uova sbattute servendolo con pane toscano abbrustolito. “In realtà però, sottolinea Massimo, l’Acquacotta è una zuppa della transumanza, legata a un preciso periodo dell’anno e alla zona del Casentino. Nota invece è l’Acquacotta di Moggiona che si preparava non appena partiti con il pane raffermo, l’uovo perché i pastori portavano con sé le galline e dato il periodo con i funghi e il maiale che era stato ammazzato da poco. La stessa poi lungo il tragitto subiva delle variazioni e, una volta arrivati in Maremma, si utilizzavano erbe e verdure locali.”
Tra i primi troviamo i Bringoli al sugo “finto” – perché è una salsa di pomodoro con poca carne – sono tipici della zona verso la Valtiberina, di Anghiari. Si tratta della versione aretina degli strangozzi o umbricelli umbri, grossi spaghettoni freschi preparati senz’uovo. La farinata gialla è una sorta di polenta preparata con un trito di sedano e carote, con l’aggiunta di fagioli cannellini, acqua e farina mais e l’aggiunta di olio extravergine d’oliva a crudo come tocco finale. La Minestra di ceci con tagliolini, classica pasta e ceci, preparata solitamente con sugo di pomodoro, aglio e rosmarino. Da ricordare che i tagliolini, da queste parti, sono una pasta all’uovo molto sottile, utilizzata prevalentemente in brodo. I Maccheroni con l’ocio sono un’altra prelibatezza. Da ricordare che ad Arezzo per “maccheroni” si intendono grossi quadrati di pasta fresca dal lato di 7-10 centimetri, quasi delle lasagne, perfetti per il sugo ghiotto d’oca locale. Le Tagliatelle con il sugo di coniglio sono in realtà un classico del Centro Italia dove spesso il coniglio è abbinato anche alle pappardelle. Per il sugo di coniglio, oltre alla carne, servono rosmarino, aglio, olio, carote, cipolle, sedano, vino bianco, salsa di pomodoro e concentrato, brodo vegetale. I Tortelli di patate sono legati al fatto che nel Casentino si produce anche una patata di ottima qualità, utilizzata per il ripieno di questi tortelli assieme al rigatino, la pancetta toscana, pomodoro, prezzemolo, aglio, rosmarino, noce moscata, scorza di limone, parmigiano, uova, sale e pepe. Il condimento è costituito da burro, salvia e pecorino grattugiato, ma spesso anche con sughi di carne o funghi.
Il piatto principale
La Bistecca con l’acciugata, unisce la Valdichiana con questa salsa tipica del Valdarno, preparata con acciughe salate sfilettate, capperi e olio extravergine d’oliva. Tra i secondi anche il Coniglio in porchetta, ripieno di pancetta, patate, aglio, salvia, rosmarino e finocchio selvatico, è cucinato al forno. I fegatelli sono pezzi di fegato di maiale “rivestiti” – così li definiva già nel XIV secolo Pietro Aretino – con la rete del suino e conditi con alloro, finocchio selvatico, sale, pepe e olio extravergine d’oliva. In genere grigliati o cucinati in padella con le bietole. Le Pulezze e salsicce sono quasi una replica delle salsicce e friarielli napoletani, solo che qui si tratta delle cime di rapa del Casentino e delle pepate salsicce toscane. I Rocchini di sedano con sugo di pollo sono un piatto del Valdarno: si fanno bollire, i gambi di sedano sfilati si battono e poi si fanno amalgamare con uovo, parmigiano grattugiato, noce moscata e sale, ottenendo così un impasto che poi si frigge e, infine, si ripassa nel sugo di pollo. La Scottiglia, piatto tipico del Casentino, di origine medievale è una sorta di chachouka nostrana a base di carni miste – manzo, pollo, faraona, pollo, coniglio, piccione, anatra, agnello – da sottoporre a una lunga cottura in tegame. Si prepara prima un soffritto di cipolla, carote, aglio, prezzemolo, basilico, e peperoncino. Si aggiunge poi la carne e si fa cuocere per un paio d’ore bagnando con vino rosso e succo di limone. Al termine ci sarà anche l’aggiunta del pomodoro: da servire con pane tostato strofinato con l’aglio. “A questo proposito il nostro chef ci ricorda che è nato come piatto degli uomini che la domenica portavano all’osteria quello che era avanzato e tutte le carni disossate e insaporite con il pomodoro diventavano un piatto unico, saporito, una scusa per bere. Nel tempo poi è diventato il piatto delle famiglie contadine quando si riunivano, il piatto dell’amicizia.”
Lo Stufato alla sangiovannese è il piatto tipico di San Giovanni Valdarno: si tratta di una sorta di spezzatino a base di carne di vitello, cotto molto lentamente, utilizzando poco sugo di pomodoro e molto vino rosso.
E ancora, ci suggerisce Massimo, “la trippa all’aretina diversa dalla preparazione fiorentina che vuole il sugo di pomodoro, perché nel Casentino si usa il sugo di carne”.
Gustosi anche i Grifi, le parti magre e callose del muso del vitello di razza chianina, cotti al tegame con cipolla, conserva di pomodoro, vino rosso, timo e chiodi di garofano dei quali esiste anche una versione da street food: il pan co’ grifi.
Se c’è ancora posto prima del dolce per gustare qualcosa, l’abbucchiato che non è propriamente un piatto ma un formaggio pecorino dal sapore molto forte, consigliato da abbinare a mele e vin santo.
Per concludere in dolcezza
I sapori d’Arezzo riservano anche qualche sorpresa dolce come il Baldino, la versione locale del castagnaccio, preparato con farina di castagne, zucchero, uva passa, pinoli, noci, rosmarino e olio extravergine d’oliva; e il Gattò aretino, il cui nome sembra rivelarne le antiche origini francesi in quanto il termine gateau in francese vuol dire dolce, è conosciuto oggi come il salame di Arezzo, ma è un dolce della tradizione che, ci ricorda il Rossi, lo si prepara con un pan di Spagna sottile, crema pasticcera e l’Alchermes.
“Un’ultima chicca, aggiunge Massimo, il Vermouth, che tutti conosciamo come il vino liquoroso aromatizzato di Torino che Antonio Benedetto Carpano nel 1786 inventa ufficialmente e che si diffonde soprattutto tra il Piemonte e la Francia. In realtà però questi lo ha conosciuto in Toscana la prima ricetta scritta a mano è del 1730 a firma del Barone Albergotti”.
Dove gustare le specialità di Arezzo
Tra i vari indirizzi per la serietà della tradizione Osteria Giovanna, nata come una bottega, e La tagliatella, oltre la Buca di San Francesco, sull’omonima piazza, ora di proprietà di Patrizio Bertelli, il Signor Prada, aretino, affezionato alla sua terra, una sorta di taverna medievale; mentre uniscono tradizione e innovazione anche con preparazioni dal gusto internazionale La lancia d’oro e le Logge Vasari, entrambi nella celebre piazza Grande dove ogni prima domenica del mese c’è il mercatino dell’Antiquariato; oltre Le Chiavi d’oro (in piazza San Francesco). Tra le pasticcerie da segnalare Vestri anche cioccolateria con produzione in casa della materia prima. Da visitare lo storico Caffè dei Costanti, riaperto grazie a Bertelli, proprio di fronte alla Basilica di San Francesco accanto alla quale c’è la Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, bella ristrutturazione. Per una colazione o un aperitivo più glamour e contemporaneo, Sugar, in Corso Italia, in un palazzo storico dove sono affiorati resti di una villa romana visibili, spazio multifunzionale con libreria, moda, accessori, design molto internazionale.
Articolo e foto di Sophie Moreau
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